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Oggi vi parlerò di un antico mestiere presente ancora in Sardegna, un'attività artigiana o meglio  un espressione artistica, sarete voi a giudicare.

 

Siamo a Tonara un laborioso paese della montagna Sarda, nel cuore della Barbagia sulle pendici del Gennargentu, e parlerò  di campanacci e di chi li fabbrica, in sardo si direbbe   “sonaggios e sonaggeris”, infatti il sardo contempla anche un termine che indica colui che li fabbrica questi preziosi oggetti.

Bene, giova anche ricordare che Tonara sia famosa anzi famosissima per i suo torrone e per Peppinu Mereu, il poeta in limba più amato dai Sardi, l’autore di Nanneddu Meu, e di tanti altri versi immortali.

In estrema sintesi il campanaccio è quel campanello che nella nostra isola  i pastori usano applicare al collo degli armenti, e come saprete, in Sardegna sfioriamo  i tre milioni di pecore, e tantissime altre bestie tra capre e bovini, un bel patrimonio zootecnico.

In apparenza sembra che stiamo parlando di un semplice oggetto di metallo, in sostanza dietro il campanaccio si nasconde una filosofia di vita che riguarda il complesso mondo agropastorale, la convivenza  tra agricoltori e pascolo brado, un sistema di pesi e contrappesi sospeso in un equilibrio arcaico e molto complicato.

 foto: Floris Campanaccicampanacci

A Tonara le botteghe sono  giunta alla quinta generazione, una storia lunga duecento anni. Delle numerose attività esistenti nei tempi antichi, oggi sono rimasti  tre laboratori e salvo smentita credo che siano gli unici in tutta Italia.
Augusto Sulis ed il figlio Stefano,  Carlo sulis con il padre Tonino,  Ignazio Floris  con i figli Marco e Salvatore Sono queste le  famiglie  depositarie di questa secolare tradizione, tutti i giorni sono in bottega a preparare e assemblare metallo, incontrare pastori o commercianti ambulanti.
La maggior parte dei prodotti viene smerciata  nelle caratteristiche  bancarelle delle grandi fiere e feste religiose in Sardegna  e oltremare, dove  I pastori si danno appuntamento per rinnovare il loro “corredo sonoro”.

Oggi oltre ai  numerosi pastori tra i clienti si stanno aggiungendo anche i turisti, perché in effetti volendo scegliere un souvenir, penso che nulla  sia più identitario di un “sonaggiu”.
Trascorrere un po di tempo a contatto con questi speciali artigiani, permette l’accesso ad una dimensione primordiale ed esaltante. Credo che siano anche consapevoli dell'enorme peso culturale che stanno tramandano con la loro scelta di perpetuare verso il futuro questo antico mestiere.

Una lavorazione lunga e complessa
E’ un'arte dura e difficile da apprendere, "sonaggiaos e pittiolos", di ogni forma e foggia, sono realizzati con un lungo procedimento di ben 26 fasi. Tanto ci impiegano ferro e ottone  per diventare uno strumento dal suono unico, capace di identificare un gregge da lontano. Ogni fase della lavorazione è condotta in modo manuale, si parte dal taglio di un foglio di lamiera e si termina con l’accordatura. In mezzo, un lento e calmo insieme di attività manuali, alcune facili altre difficilissime.
Si taglia la lamiera, si ottengono le due conchiglie speculari, si pestano perchè assumano una forma concava, si uniscono, quindi si puntano e assemblano, si applica un archetto nella parte superiore, ed uno all’interno, a questo punto siamo pronti per l’ottonatura. I campanacci semilavorati vengono preparati inserendo al loro interno un piccola grammatura di ottone e quindi  sistemati dentro un crogiolo, il quale  a sua volta va sistemato nella fucina con carbone che arriva a 1500 gradi, uno spettacolo primordiale, che rapisce l’attenzione del visitatore.

Alla fine della mattinata si può dire che i campanacci sono “cotti”, in gergo significa che l'ottone si è fuso, ha colorato e assemblato uniformemente il campanaccio. Una volta raffreddato il crogiolo, essi saranno estratti e messi a riposare.

La filosofia dei suoni che lega animali e uomini
“Intrare in sonu”: in una frase secoli di storia.

“Ogni campanaccio ha un suo suono. Assegna un identità al proprietario. Ogni pezzo è unico e inimitabile, come l’essere umano”.

 

La parte finale della lavorazione , è forse la fase più romantica, è il momento in cui due mondi: quello artigiano e del pastore, si fondono. Si tratta di dare anima allo strumento, conferirgli quella tonalità che deve incontrare le esigenze di colui  che deve vigilare sul  gregge al pascolo.
Quindi su “sonaggeri” con il martello allarga o restringe la bocca del campanaccio, seguendo la volontà dell'acquirente, un suono lungo e alto per la montagna, corto per la pianura, in realtà esistono tante varianti, in questa sede semplifico…..

Capita spesso che al momento dell'acquisto il pastore arrivi alla bottega con un esperto che gli dia consigli per scegliere bene i campanacci, il fine è di avere un gregge ben intonato, come se fosse un'orchestra, in sardo si usa dire “coiare su ferru”,  sposare il ferro, spesso in gergo si indicano i campanacci con il termine "ferro".

E qui entrano in gioco tutte le motivazioni che raccontano dell'utilità di questo prezioso oggetto. La premessa è data dal fatto che in Sardegna si pratica il pascolo brado o semibrado, gli animali dopo la mungitura vengono lasciati liberi in immensi spazi di aperta campagna o in grandi vallate spesso impervie.

Ecco che si crea un legame sonoro  uomo - animale: il pastore sa decifrare in lontananza i suoni che gli provengono dai campanacci, dal tipo di  suono capisce se l'animale sta riposando oppure sta scappando perché in pericolo, o magari sta sconfinando.

Interessante anche il rapporto sonoro  animale- animale:  il campanaccio tiene ben sveglio il gregge, così non dorme, pascola sempre e produce più latte; alcuni animali vengono scelti dal pastore perché facciano da guida al resto del gregge, ecco perché a loro viene dato un campanaccio più grande, un sistema valido affinché il gregge non si disperda, e batta i cammini consueti.

E poi, non vogliamo metterci un po di naturale vanità umana? Un bel gregge ben tenuto e ben ferrato e sicuramente motivo di orgoglio del pastore, che vuole strappare l’ammirazione dei suoi colleghi e dei compaesani.

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I suoni del carnevale
La maggior parte delle maschere del carnevale barbaricino, fa impiego dei campanacci di Tonara, ed anche in questo caso si fa riferimento a codici millenari, regole e consuetudini che variano di paese in paese. Il mistero delle maschere sarde, retaggio di culti pagani precristiani, e molto lontano da svanire anzi si sta assistendo ad un recupero di tradizione che l’urbanesimo stava quasi per cancellare. Mi viene arduo stabilire con sicurezza cosa simboleggi la presenza di campanacci, sicuramente viene spontaneo scorgere  un forte richiamo al mondo agropastorale ed ai suoi riti propiziatori che magari vene in un forte rumore un espediente per allontanare malefici della natura, naturalmente è un giudizio profano, magari un altra volta  approfondiremo questi aspetti.

Per il momento mi sento di di dire : lunga vita a sonaggios e sonaggeris de Tonara!

Ultima modifica il Venerdì, 10 Giugno 2022 09:40
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